mercoledì 21 ottobre 2009

- La scuola appaltATA

- di Marina Boscaino

Quel vero e proprio esercito di precari che il governo Berlusconi ha ideato, preventivato e poi implacabilmente creato nella scuola italiana non comprende solo docenti di tutti gli ordini e gradi. L'operazione di mistificazione, manipolazione e contaminazione di coscienze e concetti che ha portato - tra le varie conseguenze - alla cessazione di qualsiasi speranza di impiego per 130.000 persone, gente in carne ed ossa e non numeri astratti che sfiorano la nostra percezione spesso senza suscitare emozione, empatia, solidarietà, ha coinvolto anche il personale Ata. Che, nella tassonomia dei precari, "sfigati" d'elezione del XXI secolo, occupa il livello più basso. Soprattutto quando si tratta del personale ausiliario: come si dice, con un termine, spesso venato di sottile disprezzo, "i bidelli".

Il minimo comune denominatore dei tagli sono una serie di parole che vengono da lontano, che affondano la propria esistenza in bisogno d'ordine, efficientismo, razionalizzazione e si intrecciano con un'altra parola, buona per tutte le stagioni: merito. Il mix di queste etichette è stato rassicurante per una parte dell'opinione pubblica. Che non ha ritenuto importante notare che sotto questo paradigma si coniugavano una serie di attacchi a diritti fondamentali, primo tra tutti quello ad una scuola laica, pubblica, pluralista, di tutti e per tutti. L'uso improprio che ne fanno coloro che ci governano serve, infatti, solo a venare di presunta eticità un'operazione iniqua e colpevole, tesa ad impoverire il diritto al lavoro e il diritto allo studio dei ragazzi. Quelle parole sono sfrondate definitivamente della loro potenzialità positiva; si usano solo per accompagnare, venandolo di nobiltà, il più grande licenziamento di tutti i tempi.

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