sabato 8 novembre 2008

-- La scuola secondaria di II grado nello schema Gelmini

Una questione di scenario

Prima di accennare ai riflessi sulla riorganizzazione delle scuole superiori indotte specificamente dall’art. 64 della legge finanziaria 2009 e dal cosiddetto “decreto Gelmini 137” , mi preme chiarire quale sia la prospettiva di fondo in cui crediamo debba inserirsi la nostra riflessione.

“Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”(Milton Friedman, 1955). Praticamente, mezzo secolo fa, l’economia liberista aveva già chiaro lo sviluppo del mondo occidentale.

Una indagine OCSE (1998) stima in 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo (per la sanità, 3500) ed in 1000 miliardi negli Stati membri (circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università). Un vero gigantesco affare.
Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l'élite del mondo, il braintrust globale (Bush senior, Margaret Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin, D. Packard, John Gage, Zbigniew Brzezinski, ...), sotto l'egida della Fondazione Gorbaciov, per "decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà".
Si prefigurò un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbero stati necessari per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente (sic!). Si passava quindi dalle pur nere prospettive degli anni Ottanta, la società in cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto accesso al benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage, dirigente di Sun Microsystem, "assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!"

La scuola così come è, tutti concordano, costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Occorre che i cittadini conoscano, ad esempio: digitale, DVD, Laser, Hi Tech, PC, Internet, Provider, CD, masterizzatore, ...; non è invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi scientifico tecnologici che sono dietro questi nomi.
Occorre che i cittadini abbiano la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica, di quella che è pagata dalla fiscalità generale. Vi è naturalmente necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto inutile e soprattutto è un vero spreco di risorse pensare di formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste superiori specializzazioni.
Chi serve per tali fini verrà preparato in scuole speciali. La selezione per accedere a queste scuole la faranno: le stesse scuole private e le imprese. [1]

Quali punti di vista

Se si prescinde da questo scenario, non si può comprendere in base a quali valori vengano affermati taluni criteri di efficienza e di efficacia.
Il nucleo su cui riflettere è il concetto di “utilità sociale” che è specularmente opposto a quello di “utilità marginale”, proprio della teoria economica classica. In buona sostanza, l’Economista liberista riconosce che l’utilità di un bene è proporzionale alla sua rarefazione. Quanto più costante e diffuso è il consumo delle “unità” di tale bene sul mercato, tanto minore sarà la sua convenienza in termini di estrazione di profitto. Quindi, si genera così l’assunto dell’ utilità marginale decrescente, per cui l'utilità marginale di un bene diminuisce con l’aumento del consumo assoluto e della diffusione del bene stesso.
Ben diverso è il termine di “utilità sociale” – schiettamente utilitarista, quindi liberale – che valuta un bene in funzione della sua capacità di migliorare la vita per il maggior numero possibile di individui. Ovvio che le due visioni sono inconciliabili, a meno che non si disponga di politici talmente lungimiranti da comprendere quali conseguenze nel lungo periodo abbiano le loro scelte (fu De Gasperi, del resto, a insegnarci la differenza tra il politico e lo statista. Il primo pensa alle prossime elezioni, il secondo alle prossime generazioni).

Con tutti i suoi difetti, la scuola statale dell’Italia Repubblicana ha coscientemente assolto alla sua funzione sociale. Non v’è dubbio che si sia anche portata appresso alcuni mali profondi, riconducibili alla frattura tra pedagogia e gestione del personale avvenuta soprattutto negli anni ’70.
“Nella scuola italiana scontiamo un processo che da tempo gli storici hanno studiato e definito come elefantiasi del terziario. In assenza di un tessuto produttivo autonomo e nella necessità di assicurare un mercato interno alla produzione delle ricostituite aree industriali, tra gli anni ’50 e ’60, per il Mezzogiorno è stata operata la scelta dello “progresso senza sviluppo” , la distribuzione del reddito senza la produzione della ricchezza. All’interno di un generalizzato potenziamento del terziario (talvolta parassitario) anche la scuola è stata individuata come ammortizzatore sociale, come luogo di contenimento del conflitto e come punto di redistribuzione del reddito. Al “mostruoso blocco storico” che Gramsci aveva svelato – costituito da agrari meridionali ed industriali settentrionali – la democrazia italiana aveva sostituito un nuovo blocco, quello tra il capitale settentrionale e il cliente dello Stato al Sud.
Quando il sindacato confederale, molto dopo la grande stagione dell’autunno caldo, finalmente si accorge che anche nella scuola ci sono dei lavoratori ed accondiscende alla creazione della federazione della scuola all’interno delle Confederazioni (1975), eredita la cogestione di un tale blocco e condivide una scelta sostanzialmente conservativa e conservatrice, in cui la scuola – appesantita da finalità sociali improprie – progressivamente disperde il proprio capitale culturale e pedagogico, esaurisce la propria intrinseca spinta propulsiva che sarebbe stato legittimo aspettarsi dalla trasformazione da scuola di élite a scuola di massa. “[2]

La secondaria di secondo grado

Venendo al concreto, nello schema Gelmini, per quanto riguarda la secondaria di secondo grado, la prima cosa che si può osservare è il prevedibile calo dei livelli di entrata.
La scuola media vede una riduzione generalizzata a 29 ore settimanali di lezioni, contro le attuali 32. La riduzione avverrà prevedibilmente sfruttando la ridefinizione degli insegnamenti che avverrà sulla base del dlgs. 59/04 che prevede entro questo dicembre la riorganizzazione delle classi di concorso. Si provvederà, in quella sede, alla soppressione dell’insegnamento di Educazione Tecnica con assorbimento dei suoi contenuti (competenze?) nell’insegnamento delle Scienze M.F.Ch.e N. e con la riduzione di unità orarie in Italiano (che dovrà assorbire anche l’ora di Educazione Civica).
La cosa è preoccupante perché, invece di incidere sulla struttura pedagogica complessiva della scuola media (l’anello debole della catena, se è vero che i nostri “somarisssimi” quindicenni del PISA provengono comunque dalla 6° scuola elementare del Mondo) si provvede ad indebolirne proprio gli insegnamenti chiave (Italiano, Scienze e Matematica).

Per il resto si osserva che lo schema parte direttamente dai licei della Moratti (classico, linguistico, delle Scienze Umane con 30 ore settimanali, e musicale e coreutica con 32) e dagli istituti tecnici e professionali, eredità di Fioroni-Bersani.
Per questi ultimi, il dato significativo è che la prevista semplificazione degli indirizzi partirà dall’a.s. 2009/2010 con la non attivazione delle prime classi delle sperimentazioni in atto (quali?).
Ulteriori tagli (residuali ma significativi sul piano dell’assenza di ratio didattica) riguardano il taglio degli insegnanti tecnico-pratici con la riduzione del 30% delle compresenze col docente della disciplina e la ridefinizione del loro ruolo.

Le novità non mi sembrano particolarmente significative per quello che dicono (la riduzione a non più di 1.000 ore annuali per tutti gli ordini della secondaria superiore era già un obiettivo di Berlinguer) quanto per quello che non dicono.
Il rimando allo schema del dlgs 226/05 di Moratti, ci riconduce alla tripartizione dell’orario in
Insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti
Insegnamenti obbligatori a scelta dello studente
Insegnamenti facoltativi
Ma, soprattutto, ci rimanda agli ordinamenti ed alle indicazioni nazionali del Gabinetto Moratti (con tutto il suo fardello ideologico di strane commistioni cattoliberiste sospese tra famiglia e mercato) e con tutto ciò che questo significa per noi: recuperare ed aggiornare urgentemente l’elaborazione che facemmo a suo tempo – che è stata molto ricca e variegata - , cercare di coniugarla con i nuovi scenari dell’obbligo e della devoluzione, con
[1] Cfr. http://www.kelebekler.com/occ/scuola02.htm , http://www.fisicamente.net/ ,

[2] S.Pace, 3 aprile 2008, Ischia, convegno Tecnodid sulla contrattazione di istituto.

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